Conosciamo le nostre socie

Conosciamo le nostre socie

Rosa Maria Cappa
socia dal 2018


Pubblicato: 02.05.2020


I codici sono il mio Vangelo e nel BPW mi sento a casa


Rigore, passione e determinazione sono gli elementi cardine nella vita di Rosa.  Avvocato in Ticino, presso lo studio Gaggini & Partners, sposata con Pierre, due figlie, fiera della sua lunga esperienza di Procuratrice Federale, ha un sogno nel cassetto, da grande, vuole fare il giudice alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, anzi della Persona. Dice con fierezza che i Codici sono il suo Viatico. Il modello di donna a cui fa riferimento, è Ilda Bocassini, “Ilda la rossa”, il magistrato italiano che ha coordinato molte indagini contro la mafia. Parla del suo ingresso nel BPW Ticino con entusiasmo, e resta piacevolmente colpita dall’importante numero di donne professioniste, manager, dirigenti, presenti nel Club ticinese.

Preferisci farti chiamare avvocato o avvocata?

Io preferisco avvocato. Declinare a tutti i costi la parola al femminile non ha molto senso.

Di cosa ti occupi nell’ambito della professione?

Sono avvocato iscritto all’Ordine degli avvocati del Canton Ticino e mi occupo di diritto penale finanziario, quindi, di tutti i reati che hanno a che vedere con il patrimonio, in particolare, truffa, appropriazione indebita, amministrazione infedele e riciclaggio di denaro che è proprio la mia materia.

Procuratrice pubblica per dodici anni, adesso avvocato penalista ma comunque sempre donna di legge. Cosa rappresentano i codici per te?

Sicuramente il mio Vangelo, il mio viatico, il mio pane quotidiano.

La professione forense, sebbene la percentuale di donne togate stia crescendo in maniera esponenziale, è spesso ancora considerata “affare di soli uomini”. Ti sono mai capitate situazioni in cui hai pensato “chissà se fossi stata uomo…”

Quando ero Procuratrice Pubblica Federale, mi sono capitate situazioni in cui si dava per scontato che io non potessi lavorare al cento per cento o dare il massimo della mia attenzione ed energia perché avevo una famiglia, e delle figlie piccole. La domanda che mi rivolgevano costantemente era, “ma sei sicura di voler fare questo lavoro”? Una forma di “cortesia” che a me dava fastidio. Io sono sempre riuscita a dare il massimo, ho cresciuto le mie figlie da sola, senza mai chiedere sconti particolari o agevolazioni. 

Chi è stato il tuo modello di riferimento?

Ce ne sono diversi, ma sono più che certa che Ilda Bocassini, “Ilda la rossa”, sia stata per me un modello di riferimento. Il magistrato italiano simbolo della Procura di Milano, è una donna con una grande leadership che non si è mai risparmiata; in un momento difficilissimo della storia giudiziaria d’Italia ha lasciato il posto di responsabilità che ricopriva presso la Procura milanese, ed è andata a Palermo a chiudersi in un albergo, trasformato in un bunker, murata viva, per indagare sull’omicidio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ha rinunciato alla sua libertà, 24 ore su 24 sotto scorta, ha messo in secondo piano la sua vita personale e professionale, tutto questo per cercare la verità. E anche dopo, al suo ritorno in Procura a Milano (nella Direzione Distrettuale Antimafia), ha applicato lo stesso modello lavorativo e, in una Milano dove ancora non si parlava di mafia, è andata avanti, e con impegno costante ha consentito che indagini sulla ‘ndrangheta sfociassero in processi e condanne. 

Sappiamo che non ti occupi di questa materia, ma voglio chiederti lo stesso una tua opinione sulla normativa che riguarda la tutela delle donne soprattutto dalla violenza domestica. Pensi ci siano lacune a livello normativo per contrastare questo odioso fenomeno?

Sì, certamente, ma non parlerei di inasprire le sanzioni, quanto piuttosto di cambiare la mentalità e cioè di cominciare a credere alle donne che denunciano le violenze che subiscono all’interno delle mura domestiche, che sono particolarmente insidiose. Già c’è una certa reticenza a denunciarle, se poi, chi riceve queste denunce mostra una diffidenza di base, diventa tutto ancora più difficile. 

Per quanto riguarda le molestie, c’è un vuoto legislativo importante, che ne pensi?

Mancano strumenti necessari come una legge contro lo stalking e contro il mobbing. Quanto allo stalking, ritengo che l'iniziativa parlamentare in corso non sia sufficiente. Punisce tale comportamento, ma solo nell’ambito di reati penali già esistenti, come minaccia e coazione (costringere una persona sotto minaccia a fare, non fare o tollerare un atto). Questo significa che la Svizzera ha rinunciato a creare un reato autonomo di stalking, come invece esiste già in Paesi come Stati Uniti, Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Germania, Francia e Italia. Quando parliamo di stalking si fa riferimento a tutti quei comportamenti intenzionali e ripetitivi nei confronti di una persona, che ne minacciano la sicurezza e che ne condizionano gravemente le abitudini di vita. Sono azioni subdole, odiose e dannose, che nella maggior parte dei casi vengono sottovalutate e lo stalker quasi sempre riesce a farla franca.

Impegnata nel PLR a Lugano, ma come nasce la passione per la politica?

Nasce dalla considerazione che non esiste soltanto lo strumento giudiziario per perseguire il bene comune. I giuristi sono tutti giuspositivisti, quello che è legge si applica e si cerca di regolamentare la convivenza in modo che tutti vivano bene. In realtà non è solo questo, c’è un altro approccio che può essere utilizzato, che è proprio quello della politica, cercando il bene comune, senza passare necessariamente attraverso la punizione o la prevenzione, ma offrendo proposte concrete, utili al benessere della collettività.

Riesci a conciliare la tua vita privata con il lavoro?

Sì, perché nei primi anni di vita delle mie figlie, vivevo a Delémont e lavoravo a Berna, uscivo di casa alle 06:30 e rientravo alle 19:30. In più, sia io che mio marito viaggiavamo per lavoro. Quindi secondo me lo sforzo maggiore l’ho già fatto e me la sono cavata e mi sembra che sia più facile adesso. In fondo è una questione di organizzazione.

Hai due figlie, che sono ormai delle giovani donne, a loro cosa non ti stanchi mai di ripetere?

Una convinzione, un valore che nella nostra famiglia si tramanda di generazione in generazione, dico loro, “non lasciate mai che vi prendano la vostra dignità”. La dignità ha come prima base l’autonomia, che non è solo l’autonomia economica ma è anche autonomia di pensiero, l’autodeterminazione. Dico a loro di lavorare invece di rimanere appese a qualcun altro e di costruire la loro strada da sole, poi il resto viene da sé.

Sei mai stata discriminata sul posto di lavoro?

Si, quando lavoravo al Ministero pubblico della Confederazione io guadagnavo, a parità o anche con superiorità di requisiti e di esperienza, meno dei miei colleghi maschi e ho impiegato più tempo di loro a salire di grado. Sono stata discriminata anche perché ero straniera.

In che modo entra il BPW nella tua vita e soprattutto quali sono i punti di contatto?

Il Bpw è entrato un po’ per caso nella mia vita perché delle amiche me l’hanno fatto conoscere e mi ci ritrovo benissimo come ideali e come valori, mi mostra uno spaccato della vita ticinese che io non pensavo esistesse. Ogni volta che si presentano delle nuove socie, resto sempre positivamente stupita, e mi dico, allora ci sono le donne in carriera, in gamba, e sono felice di far parte di questo gremio. Quando sono arrivata a Lugano nel 2004, dal Canton Giura, di mamme lavoratrici ne conoscevo davvero pochissime, e le persone che incontravo per lavoro, o erano maschi oppure donne senza figli. In me, era entrato questo tarlo per il quale, o facevi carriera o avevi la famiglia. Ne ho macinato di lavoro nel frattempo e, frequentando il BPW, mi rendo conto che di donne che lavorano e riescono a conciliare lavoro e famiglia ce ne sono sempre di più e questo mi piace molto, mi fa sentire a casa.

Cosa pensi sia necessario per ottenere un reale cambiamento culturale che porti all’equità tra uomo e donna?

Intanto, quello che si sta facendo con le associazioni trasversali è già un inizio, e al loro interno ci sono donne di estrazione sociale diversa. Mi chiedo se, inserendo nelle scuole il tema dell’equità di genere nell’ambito dell’educazione civica, non si possa lavorare sulle nuove generazioni, facendo in modo di far crescere delle bambine consapevoli di avere gli stessi diritti dei maschi. Bisogna avere una visione lungimirante e cominciare ad agire sul lungo termine perché altrimenti diventano delle battaglie fini a se stesse. Cominciamo a procurarci con le nuove generazioni una nuova mentalità e continuiamo a batterci nel contesto attuale.

Pensi che il femminismo sia superato?

Il femminismo degli anni ’60, in quella forma, è sicuramente superato; una nuova forma di femminismo che parta dalla consapevolezza del pari valore delle donne e della loro diversità rispetto agli uomini, non è affatto superato, anzi, deve rinascere con una forma diversa, va rinnovato.

Cosa ti piacerebbe consigliare ad una giovane donna che inizia il tuo stesso percorso lavorativo?

Ci sono essenzialmente, alcune regole d’oro da seguire: la prima è di non pensare mai che siccome siamo donne non possiamo farcela; poi farsi rispettare da colleghi e colleghe; non perdere mai la forza d’animo e la dignità e da ogni esperienza negativa, tirare fuori il meglio che si ha dentro. Io l’ho fatto, e quando ho affrontato le prove più difficili ho visto che crescevo, infatti anche quelle fanno parte della mia vita.

Cosa ti piacerebbe fare da grande?

Il giudice alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; sarebbe fantastico far collimare totalmente la carriera professionale con gli ideali. Prima però vorrei che cambiasse il nome in Corte Europea dei Diritti della Persona. Potrebbe essere il prossimo obiettivo per il BPW Internazionale. 

L.I.